lunedì 19 ottobre 2015

Report di un'esperienza: laboratorio di scultura nella prigione di Brema

Controllo documenti, tesserino della polizia al petto e poi il tintinnio di grossi e pesanti mazzi di chiavi che ci accompagna fra le mura di mattoni rossi della prigione di Brema. Curiosità e un po’ di disagio hanno fatto strada con me fra i corridoi della struttura fino ad arrivare alla nostra meta: i laboratori di scultura. Qui l’atmosfera si fece subito interessante e stimolante, gli attrezzi sparsi sui tavoli, la polvere e la segatura del legno un po’ ovunque, i forni, gli smalti, sculture sugli scaffali a seccare ed altre già ultimate sul pavimento e in ogni angolo, e dei ragazzi (detenuti) che lavoravano con dedizione alle loro sculture. Lì mi sono sentita subito più a mio agio, avrei avuto voglia di lavorare con loro. Qualcuno parlava un po’ di inglese e con piacere mostrava a me ed alla mia collega le proprie sculture ed il progetto a cui stava lavorando, con tutto l’entusiasmo che  c’è  quando si crea qualcosa che va crescendo da una bozza e con un po’ di timidezza nel mostrare qualcosa di personale. Nel loro laboratorio prendono forma sculture in ceramica, terracotta, pietra e legno, di diverse dimensioni e soggetti. Molte di esse sono legate a dei progetti specifici, per esempio molte sculture sono destinate a decorare parcogiochi e per questo caratterizzate da colori luminosi e soggetti adatti ai bambini, le sculture rappresentanti animali erano talmente tante che sembrava di essere in uno zoo! e nel soppalco bisognava fare attenzione a dove mettere i piedi per non urtare le sculture per cui non c’era quasi più posto. Una delle due donne responsabili di tale laboratorio si chiama Martina (come me) e come me ha studiato all´Accademia di Belle Arti, una simpatica coincidenza. Martina mi ha spiegato che il loro intento non è quello di usare l’arte come terapia, che loro non hanno nemmeno idea di quali siano i reati commessi dai detenuti con cui lavorano e in questo modo il loro atteggiamento nei loro confronti non è condizionato da nulla. Nella prigione di Brema l’arte è espressione, libera creazione e non arteterapia, è un lavoro e i detenuti producono sculture per diversi parchi o eventi ed esposizioni, ma a volte vengono anche commissionate da privati. Talvolta il progetto viene discusso in gruppo da chi lavora al laboratorio e per le sculture più grandi si lavora in team, altre volte l’ente che richiede le sculture ha già un progetto ben strutturato a cui doversi attenere. Alle opere di dimensioni più piccole lavorano singolarmente anche se non di rado capita che scontata la pena il detenuto viene rilasciato e qualcun altro porterà  a termine l’opera rimasta incompiuta. Le sculture più interessanti, alcune ironiche, altre cariche di rabbia, sono quelle spontanee e nate dall’esigenza d’espressione o di creazione, sono queste le opere in cui si avverte maggiormente qualcosa della persona che c’è dietro la materia. Sorprendente come all’interno di una prigione possa esistere un ambiente così dinamico, creativo, colorato e stimolante come i laboratori di scultura che ho visitato a Brema, da cui nascono svariati eventi ed esposizioni. Durante la mia visita si discuteva appunto della possibilità di rendere tali sculture fruibili ad un pubblico di non vedenti che attraverso il tatto potranno percepirne le forme stravolgendo così il concetto di “visibilità” dell’arte per un pubblico che non sarà più costituito, questa volta, da “osservatori”.


Dott.ssa Martina Di Liberto



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