Il due Ottobre 2015 valigie pronte, non è ancora
l’alba, ma eccoci all'aeroporto per volare verso Brema. Inizia cosi quel viaggio che può definirsi
solamente grandioso.
Non avevo mai partecipato ad un’esperienza di Job
shadowing, prevista nel progetto “ Going International” che mi avrebbe
consentito, partecipando ad attività di educazione e di inclusione sociale di adulti
disabili, di acquisire nuove competenze ed efficaci strumenti da spendere successivamente
nel mio modo di lavorare con la disabilità. Emozioni, dubbi, ansie affollavano
la mia mente. Il timore di non riuscire a comunicare e a confrontarmi per la
non conoscenza della lingua tedesca mi rendeva inquieta. Tutte queste
perplessità si sono andate affievolendo nel momento in cui ho conosciuto il
responsabile delle Diakonie, dott. Jurgen Stein, che con la calma, la precisione, la dedizione
al lavoro, la pazienza nel tradurci in inglese tutte le conversazioni, ha
accolto me e la mia collega caldamente facendoci sentire parte del suo staff e
coinvolgendoci in attività interessanti. Stimolante, per la mia professione di
psicologo, a mio parere, è stato l’incontro che avuto con il gruppo di auto
aiuto di madri con figli disabili. Giunta al luogo di destinazione stupore,
meraviglia hanno dominato improvvisamente
i miei pensieri. Davanti a me c’era una struttura meravigliosa con ampi
spazi e arredi funzionali ed eleganti, dove si trovavano anche diversi uffici che si occupavano della
distribuzione di indumenti e generi alimentari per la gente bisognosa. Ad
accoglierci arriva Monica, una ragazza disabile, psicologa come me, la quale ci
presenta al gruppo invitandoci a
spiegare il perchè della nostra presenza lì. Alcune di loro parlavano l’inglese,
quindi per noi la comunicazione si è resa più agevole. Abbiamo spiegato loro
che lo scopo del nostro viaggio è di fare nuove esperienze lavorative
confrontandoci con realtà diverse dalle nostre. Eravamo seduti intorno ad un
grande tavolo sul quale erano disposti dolciumi e bevande, come vuole la
tradizione tedesca prima di iniziare una conversazione. Ci guardavano
incuriosite, con occhi scrutatori che esprimevano disagio e imbarazzo. Poi
Monica ci chiede di porre delle domande, ma nessuna vuole cominciare a parlare.
Finalmente una di loro decide di rompere il ghiaccio che si era creato fra noi.
Riferisce che quel silenzio derivava da una loro difficoltà ad esprimere
davanti a degli estranei ciò che appartiene alla loro sfera più intima e
personale, ma avrebbe provato. Ci racconta che insieme a Monica è stata la
fondatrice del gruppo. L’idea è nata dall'esigenza di condividere il proprio
problema di essere genitori di un figlio disabile con altri che giornalmente
vivono la stessa situazione. Il gruppo inizialmente era costituito da tre
membri ora sono 10, impegnati anche in attività di volontariato e di sensibilizzazione sociale. Anche le altre
poi sentono il bisogno di presentarsi e raccontare la loro storia. L’una era
diversa dalle altre, figli con differente disabilità, vissuti propri, ma tutti accomunati dallo stesso destino: “portare il figlio in un istituto”e
incontralo una volta a settimana. In quel minuto ho guardato i lori occhi e ho
visto scendere sul viso di alcune lacrime di dolore. Dolore dettato forse dal
rimorso, dai sensi di colpa per avere compiuto una tale scelta, scelta
scaturita non soltanto da impegni di lavoro, ma anche dalle difficoltà di
gestire un figlio aggressivo e talvolta pericoloso per se e per gli altri,
pensando che lì avrebbe potuto godere di cure e attenzioni adeguate da parte di operatori specializzati e magari raggiungere minimi e significativi progressi.
Ci chiedono poi di raccontare come i genitori dei nostri disabili vivono e affrontano
il “problema”. Nel sentir dire che da noi sono presenti poche strutture e che
tutto grava sulle spalle dei familiari, sono rimaste incredule. Al contempo, il
comportamento di tali genitori, nel nostro paese dove predomina una cultura
molto lontana e distante dai canoni europei, dove pregiudizi e stereotipi sono
ben radicati, potrebbe essere considerato incredibile se non inaccettabile.
Terminato l’incontro ci siamo salutate e con Monica ci siamo proposti di
rivederci a marzo quando sarà ospite presso la nostra associazione.
Così rientravo con sentimenti differenti da quelli
che avevo provato al momento della partenza. Fiduciosa, dopo aver sperimentato,
che dei modelli di inclusione e di sostegno in grado di coniugare sensibilità
autentica ed efficacia professionale sono possibili e realizzabili.
Dott.ssa Marcella Vella
Psicologa