venerdì 30 ottobre 2015

Esperienza a Brema


Il due Ottobre 2015 valigie pronte, non è ancora l’alba, ma eccoci all'aeroporto per volare verso Brema.  Inizia cosi quel viaggio che può definirsi solamente grandioso.
Non avevo mai partecipato ad un’esperienza di Job shadowing, prevista nel progetto “ Going International” che mi avrebbe consentito, partecipando ad attività di educazione e di inclusione sociale di adulti disabili, di acquisire nuove competenze ed efficaci strumenti da spendere successivamente nel mio modo di lavorare con la disabilità. Emozioni, dubbi, ansie affollavano la mia mente. Il timore di non riuscire a comunicare e a confrontarmi per la non conoscenza della lingua tedesca mi rendeva inquieta. Tutte queste perplessità si sono andate affievolendo nel momento in cui ho conosciuto il responsabile delle Diakonie, dott. Jurgen Stein,  che con la calma, la precisione, la dedizione al lavoro, la pazienza nel tradurci in inglese tutte le conversazioni, ha accolto me e la mia collega caldamente facendoci sentire parte del suo staff e coinvolgendoci in attività interessanti. Stimolante, per la mia professione di psicologo, a mio parere, è stato l’incontro che avuto con il gruppo di auto aiuto di madri con figli disabili. Giunta al luogo di destinazione stupore, meraviglia hanno dominato improvvisamente  i miei pensieri. Davanti a me c’era una struttura meravigliosa con ampi spazi e arredi funzionali ed eleganti, dove si trovavano anche  diversi uffici che si occupavano della distribuzione di indumenti e generi alimentari per la gente bisognosa. Ad accoglierci arriva Monica, una ragazza disabile, psicologa come me, la quale ci presenta al gruppo invitandoci  a spiegare il perchè della nostra presenza lì. Alcune di loro parlavano l’inglese, quindi per noi la comunicazione si è resa più agevole. Abbiamo spiegato loro che lo scopo del nostro viaggio è di fare nuove esperienze lavorative confrontandoci con realtà diverse dalle nostre. Eravamo seduti intorno ad un grande tavolo sul quale erano disposti dolciumi e bevande, come vuole la tradizione tedesca prima di iniziare una conversazione. Ci guardavano incuriosite, con occhi scrutatori che esprimevano disagio e imbarazzo. Poi Monica ci chiede di porre delle domande, ma nessuna vuole cominciare a parlare. Finalmente una di loro decide di rompere il ghiaccio che si era creato fra noi. Riferisce che quel silenzio derivava da una loro difficoltà ad esprimere davanti a degli estranei ciò che appartiene alla loro sfera più intima e personale, ma avrebbe provato. Ci racconta che insieme a Monica è stata la fondatrice del gruppo. L’idea è nata dall'esigenza di condividere il proprio problema di essere genitori di un figlio disabile con altri che giornalmente vivono la stessa situazione. Il gruppo inizialmente era costituito da tre membri ora sono 10, impegnati anche in attività di volontariato e  di sensibilizzazione sociale. Anche le altre poi sentono il bisogno di presentarsi e raccontare la loro storia. L’una era diversa dalle altre, figli con differente disabilità, vissuti propri, ma tutti accomunati dallo stesso destino: “portare il figlio in un istituto”e incontralo una volta a settimana. In quel minuto ho guardato i lori occhi e ho visto scendere sul viso di alcune lacrime di dolore. Dolore dettato forse dal rimorso, dai sensi di colpa per avere compiuto una tale scelta, scelta scaturita non soltanto da impegni di lavoro, ma anche dalle difficoltà di gestire un figlio aggressivo e talvolta pericoloso per se e per gli altri, pensando che lì avrebbe potuto godere di cure e attenzioni adeguate da parte di operatori specializzati e magari raggiungere minimi e significativi progressi. Ci chiedono poi di raccontare come i genitori dei nostri disabili vivono e affrontano il “problema”. Nel sentir dire che da noi sono presenti poche strutture e che tutto grava sulle spalle dei familiari, sono rimaste incredule. Al contempo, il comportamento di tali genitori, nel nostro paese dove predomina una cultura molto lontana e distante dai canoni europei, dove pregiudizi e stereotipi sono ben radicati, potrebbe essere considerato incredibile se non inaccettabile. Terminato l’incontro ci siamo salutate e con Monica ci siamo proposti di rivederci a marzo quando sarà ospite presso la nostra associazione.

Così rientravo con sentimenti differenti da quelli che avevo provato al momento della partenza. Fiduciosa, dopo aver sperimentato, che dei modelli di inclusione e di sostegno in grado di coniugare sensibilità autentica ed efficacia professionale sono possibili e realizzabili.

Dott.ssa Marcella Vella
Psicologa

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